Nota aperta sul terremoto dell'Aprile 2009 a L'Aquila.

Redatta il 9 aprile 2009, tre giorni dopo la mainshock.

Il terremoto dell’Aquila era previsto. Il progresso scientifico è adeguatamente avanzato da far ritenere l’evento sismico abruzzese come atteso e probabile, a patto di non confondere le tempistiche geologiche con quelle del quotidiano. Insomma, un terremoto geologicamente prossimo, può manifestarsi anche tra centinaia di anni. Nonostante i 32 anni di età e i 6 anni alle spalle di progettista e calcolatore, moltissime volte ho ascoltato ragionamenti assurdi sul rischio sismico, soprattutto, spiace riconoscerlo, dai committenti privati. I miei sforzi di rendere edotte le persone sul fatto che la sicurezza strutturale vada messa tra uno degli aspetti prioritari di una costruzione, molto spesso sono stati visti come un eccesso di prudenza: “Caro ingegnere, ma sto terremoto proprio a L’Aquila dovrà fare?!". Proprio a L’Aquila ha fatto, senza nessuna sorpresa scientifica, e senza nessuna certezza che ormai, come esorcizza qualcuno, saremo tranquilli per centinaia di anni. Il terremoto a L’Aquila ci sarà di nuovo, come ci sarà in tante altre località italiane.

Il terremoto dell’Aquila era previsto. Il progresso scientifico è adeguatamente avanzato da far ritenere l’evento sismico abruzzese come atteso e probabile, a patto di non confondere le tempistiche geologiche con quelle del quotidiano. Insomma, un terremoto geologicamente prossimo, può manifestarsi anche tra centinaia di anni. Nonostante i 32 anni di età e i 6 anni alle spalle di progettista e calcolatore, moltissime volte ho ascoltato ragionamenti assurdi sul rischio sismico, soprattutto, spiace riconoscerlo, dai committenti privati. I miei sforzi di rendere edotte le persone sul fatto che la sicurezza strutturale vada messa tra uno degli aspetti prioritari di una costruzione, molto spesso sono stati visti come un eccesso di prudenza: “Caro ingegnere, ma sto terremoto proprio a L’Aquila dovrà fare?!". Proprio a L’Aquila ha fatto, senza nessuna sorpresa scientifica, e senza nessuna certezza che ormai, come esorcizza qualcuno, saremo tranquilli per centinaia di anni. Il terremoto a L’Aquila ci sarà di nuovo, come ci sarà in tante altre località italiane.

Quando iniziai le prime progettazioni, mi accorsi di essere di fronte ad un mutamento storico in atto, dovuto in gran parte al progresso dell’informatica che consentiva l’utilizzo di metodi di calcolo altrimenti troppo complessi per essere applicati su costruzioni ordinarie. Questo si traduceva in una sorta di scontro generazionale tra i progettisti “senatori" e le nuove leve. Non voglio assolutamente polemizzare con nessuno, visto che gli scontri più accesi avvenivano proprio con mio padre, appena congedato dalla libera professione dopo 30 anni di attività. Per fare un esempio, chi è del mestiere pensi al calcolo del cemento armato: nonostante la normativa del 1996 introducesse il moderno calcolo agli stati limite, pochissimi ingegneri hanno in questi anni effettuato l’upgrade professionale, rimanendo invece ancorati al vecchio calcolo col metodo delle tensioni ammissibili. Sia chiaro, le costruzioni progettate col metodo delle tensioni ammissibili sono validissime se eseguite a regola d'arte ma procedendo in questo modo, il tecnico ha poco controllo su alcune qualità che fanno del cemento armato uno dei materiali antisismici per eccellenza. Per esempio, una proprietà importantissima del cemento armato è la cosiddetta “duttilità", caratteristica che consente ad una struttura di restare in piedi dopo terremoti con energia liberata altissima (decine di volte quello del 6 aprile), magari danneggiandosi irrimediabilmente ma senza arrivare al crollo, che si traduce in salvaguardia della vita umana. Tra l’altro questo è uno dei motivi per cui ai bambini giapponesi si insegna che quando c’è una scossa non bisogna scappare fuori ma ripararsi sotto i tavoli in attesa che il terremoto finisca. Purtroppo questo concetto, insegnato anche in Italia, si è rivelato molto poco utile a chi si è ritrovato sotto le macerie della sua casa crollata. Ebbene, la “duttilità" del cemento armato si può controllare in modo corretto solo con il calcolo agli stati limite, mentre è difficilmente gestibile col vecchio metodo delle tensioni ammissibili. La scelta personale di progettare col metodo agli stati limite mi ha fatto sentire varie volte una mosca bianca. Soprattutto quando alcune imprese (ma soprattutto, lo ripeto, i committenti) facevano fatica a digerire quel 5% di maggiori costi: più volte sono stato etichettato come tecnico dispendioso, e dispiace che questo giudizio sia stato sempre contrapposto agli apprezzamenti: “De Simone è bravissimo ma quello che progetta costa di più". Dopo il 6 aprile, in molti si ricorderanno di quel 5% di soldi spesi in più (a dir la verità alcuni hanno telefonato per dirmi grazie già il giorno della scossa), perché quegli edifici sono fortunatamente intatti.

Nei due mesi di sciame sismico che hanno preceduto la scossa del 6 aprile, ho passato molto tempo ad approfondire le mie conoscenze sull’argomento acquisite negli studi e nella professione, soprattutto cercando tra le esperienze dirette della gente sui passati terremoti (Umbria e Marche in particolare). Quello che mi lasciava interdetto è il terrore che il terremoto lasciava nell’animo anche quando il danneggiamento di case e strutture non era poi così catastrofico. Capii tutto negli istanti iniziali della scossa del 6 aprile quando, sballottato nel sonno dalla violenza del terremoto, pensai che davvero L’Aquila stesse per essere inghiottita dalla terra: vivere un evento di questa portata è inimmaginabile, difficile quindi da far comprendere agli altri. Uscito da casa, a mente fredda mi resi conto con stupore che la stessa era strutturalmente illesa (cemento armato di fine anni 70 calcolato da mio padre alle tensioni ammissibili), così come gran parte delle abitazioni che visionavo man mano. Danni gravi c’erano su edifici con seri problemi preesistenti (vecchie murature, cementi armati difettati, aggregati storici), così da immaginare, nonostante le prime notizie di vittime, una magnitudo intorno ai 6 Richter. Ebbi la conferma confrontandomi con mio fratello, anch’egli ingegnere strutturista e cultore della materia, del medesimo parere dopo l’ulteriore constatazione che i crolli consistenti riguardavano soprattutto circostanziate zone deboli. Non mi sorpresi quindi quando venne ufficializzata la magnitudo Richter di 5,8, cosa che invece fece sobbalzare da subito molti aquilani, anche esperti del settore. C’è stata una sorta di delusione collettiva nell’apprendere che il sisma del 6 aprile rientrasse nell’attività tettonica tipica dell’Italia appenninica, senza nessun carattere di straordinarietà. Sarà forse dovuto a quell’immenso terrore che si prova vivendo quegli istanti. Io stesso, pur avendo riconosciuto da subito che non si trattava un evento anomalo, ho confessato a tanti amici di non aver mai potuto immaginare, nonostante gli studi fatti, che fosse così agghiacciante vivere il terremoto sulla propria pelle. Fatto sta, per tornare al discorso, che è partita una strana corsa alla contestazione di quel 5,8 Richter, tirando in ballo strategie politiche o concetti come “magnitudo momento". Cerco di chiarire, per quanto in mia conoscenza. Ritengo il discorso della strategia politica una bufala nata da un equivoco. Qualcuno ha detto pubblicamente, e in modo corretto, che la lista dei Comuni oggetto dei finanziamenti, stilata dalla Protezione Civile, comprende quelli colpiti da scosse di intensità superiori al grado 6. Quel qualcuno ha dimenticato di precisare che la scala di riferimento, in questo caso, non è la Richter ma la Mercalli, per cui L’Aquila e i dintorni rientrano ampiamente nella definizione. Di qui l’equivoco. Per quel che riguarda la cosiddetta “magnitudo momento", la stessa è solo un’altra unità di misura dell’energia sprigionata dal sisma. Il fatto quindi che il terremoto dell’Aquila abbia registrato una magnitudo momento di 6,3 (e 5,8 di magnitudo Richter) non cambia affatto le cose. Così come è scorretto citare fonti americane riportanti diverse magnitudo. Il caso emblematico è quello dell’American Geological Survey: sulle rilevazioni del sisma aquilano c’è scritto Mw=6,3: Mw è la sigla internazionale della Magnitudo momento. Per chiarire definitivamente: se guardo un sito di meteorologia italiano, leggo, tra le temperature rilevate, L’Aquila 10 gradi °Centigradi; se guardo su un sito americano probabilmente leggerò L’Aquila 50 °Fahrenheit. Ma nessuno penserebbe che secondo gli americani a L’Aquila ha fatto più caldo.

- “Questo dell’Aquila è stato un terremoto anomalo, perché non si spiega come mai di due edifici gemelli, uno è intatto e l’altro è disastrato". - “Infatti, ma è stato anormale pure da quartiere a quartiere, prendi via XX Settembre martoriata e le case Banca d’Italia indenni, boh!". Con queste frasi si aprono molte discussioni tra gli aquilani che commentano a mente fredda il terremoto. L’ingegnere antisismico ha una spiegazione scientifica e rigorosa a queste bizzarrie. Tra l’altro, a dispetto dell’opinione popolare, l’argomento è stato oggetto di studi approfonditi degli ultimi anni, ed è una caratteristica comune a quasi tutti i terremoti disastrosi. Il grande sisma del Messico del 1985 fu caratterizzato da un epicentro lontano dalla zona in cui si ebbero i maggiori danni. Addirittura centri abitati vicini all’epicentro ebbero pochi danni, mentre Città del Messico, più distante di questi, fu martoriata. Ricorda qualcosa questa situazione? Epicentro a Roio; paesi vicini come Tornimparte, Lucoli, Sassa con danni relativi; paesi più lontani come Onna, Villa Sant’Angelo, Castelnuovo quasi rasi al suolo. E’ scientificamente provato che la distanza dall’epicentro è un parametro assolutamente inadeguato per descrivere l’azione distruttiva sugli edifici. Quest’ultima infatti è condizionata da fenomeni molto complessi, primo fra tutti le caratteristiche del terreno. Si badi bene, ho detto “caratteristiche" e non “composizione superficiale": questo per puntualizzare che frasi come “ma è meglio la roccia o è meglio la sabbia?" hanno poco senso. Esistono poi fenomeni locali di amplificazione delle onde sismiche assolutamente inquadrabili. Per capire meglio, faccio una similitudine che farà inorridire geologi ed esperti ma, intuitivamente, rende il concetto. Si pensi ad un mare che a riva presenta fondali molto irregolari e frastagliati. Paragoniamo le onde del mare che vanno verso la riva alle onde sismiche generate da un terremoto (se qualcuno ha potuto osservare un terreno di campagna durante una scossa forte, esso si deforma proprio come la superficie del mare). A largo le onde sono dritte e uniformi, quando poi cominciano a toccare i fondali irregolari (che paragoniamo ai vari strati di terreno che incontra il sisma), esse si deformano, cambiano di forma e di forza. In alcuni tratti le onde si incrociano e l'acqua si increspa violentemente mentre ci sono tratti superficiali in cui l’acqua è addirittura calma. A questo punto sorge una domanda interessante: i danni su edifici dovuti al terreno o ai fenomeni locali, sono quindi giustificati e imprevedibili? Diciamo subito che la caratterizzazione del terreno fa parte del moderno calcolo antisismico, anzi, è uno degli aspetti fondamentali. Solo le ultime normative antisismiche (purtroppo ancora facoltative) hanno una sezione esaustiva per quanto riguarda la caratterizzazione dei terreni e dei fenomeni locali, mentre sulle vecchie l’argomento non è trattato in modo approfondito e lasciato alla valutazione del geologo.

Molta polemica è sorta dopo che illustri geologi hanno parlato di gravi errori di pianificazione territoriale su L’Aquila, con previsioni edificatorie su terreni a rischio perché ospitanti faglie sismiche, come il caso simbolo di Pettino, quartiere che, secondo questi geologi, doveva rimanere inedificato. Il mio modesto parere è diverso, soprattutto alla luce dei fenomeni spiegati al punto precedente. Il rischio sismico è purtroppo presente indipendentemente dalla presenza di faglie superficiali. Magari il Piano Regolatore poteva svuotare Pettino certo, ma se avesse riempito la zona di Paganica?! Allora il mio parere è questo: l’ingegneria antisimica ha i mezzi per costruire edifici di sicurezza adeguata anche in presenza di fattori negativi e penalizzanti. In sostanza, a me piace progettare così: mi dica il geologo come è fatto il terreno e mi quantifichi con esattezza le sue caratteristiche, penso io a calcolare un edificio sismicamente sicuro che tenga conto di tutto.

L’argomento è veramente delicato per cui non mi permetto di esprimere alcun giudizio, neanche parziale, ma solo qualche riflessione esclusivamente tecnica. Ho detto che il terremoto del 6 aprile è inquadrabile in una normalissima attività tettonica dell’Appennino. Mano a mano però che visiono le risultanze delle rilevazioni di vari enti (INGV, Reluis, Università) scopro che, laddove l’ingegneria antisismica è in grado di fornire un altissimo grado di sicurezza, c’è invece ancora molto da capire sulle ipotesi iniziali da considerare. Le famose accelerazioni al suolo (PGA), che danno la misura del vero potere distruttivo di un terremoto (molto più della magnitudo), rivelano infatti uno scenario davvero sorprendente. Stando ai primi dati, e col beneficio di ulteriori approfondimenti da effettuare una volta usciti dall'emergenza, alcune ipotesi sinora ritenute sufficienti a garantire un ottima sicurezza sismica sembrerebbero sovvertite dalle osservazioni scientifiche dell'evento del 6 aprile. Queste premesse basterebbero, a mio parere, a scagionare le responsabilità di "categoria". Purtroppo la corsa ai colpevoli ha investito a turno i legislatori, le imprese, i geologi, gli ingegneri e così via. Ma se in alcuni casi le tragedie sono state scongiurate è proprio perché ciascuno ha lavorato con scrupolo, introducendo piccoli margini di sicurezza. Anche le bistrattate imprese, posso testimoniare che a L’Aquila hanno lavorato con coscienza, soprattutto su problematiche di tipo strutturale. Dell’argomento del risparmio su cemento, ferro e mattoni non ho riscontro personale. Fermo restando comunque l'assoluta necessità di indagare responsabilità singole, la cui eventuale individuazione farebbe sì del bene alle categorie, posso solo affermare, alla fine del discorso, che l'ingegneria antisismica, se applicata con cognizione di causa, è comunque in grado di salvare la vita anche nelle ipotesi di progetto più penalizzanti.

Come accade sempre dopo un accadimento eccezionale, si è portati a tirare conclusioni affrettate (e nella maggior parte dei casi sbagliate). Alcune di queste conclusioni riguardano le tipologie costruttive. Nasce la psicosi della casa tradizionale di cemento armato, ritenendola costosa, insicura, fragile, addirittura brutta. Meglio una casa di legno monopiano che è economicissima, solidissima, antisismica, e anche più bella. Quando mi chiedono un parere rispondo senza mezzi termini: tutte balle. Anche qui mi piace fare una similitudine, questa volta presa in prestito dal mondo dell’informatica. Se la casa in cemento armato tradizionale è un computer Windows, la casa in legno è un computer Apple. Chi possiede un Apple, ne va fiero, dice che è stabile, economico, potente, mentre ritiene il Windows lento, pieno di virus. La maggior parte delle persone però possiede un pc Windows e tanti, dopo aver provato l’Apple, tornano indietro. Sgombriamo allora il campo da alcune falsità oggettive. Primo: senza addentrarsi in motivazioni computazionali, a parità di qualità, la casa in legno costa di più di quella in cemento armato. Secondo, a mio parere di tecnico, la casa in cemento armato (ovviamente se progettata e realizzata a regola d’arte) è sismicamente superiore alla casa in legno perché molto più collaudata nella storia dell’ingegneria antisismica. Terzo: la casa in cemento armato conserva nel tempo le prestazioni e ha bisogno di molta meno manutenzione. A questo si aggiungono difetti tipici del legno (vulnerabilità ai parassiti, rumori di calpestio), così come tanti pregi (velocità di montaggio, minore probabilità di incorrere in difetti di costruzione, confort termico). La mia conclusione attuale quindi, che è la stessa del 5 aprile, è che la casa di legno è una filosofia, chi la ama continuerà ad amarla, chi non la ama scommetto che non cambierà idea.

Riassumo in questa sezione una serie di castronerie, alcune veramente madornali, proclamate sul terremoto da vari soggetti, soprattutto sui media.

  1. La magnitudo del terremoto del 6 aprile, in alcune zone come Onna, L’Aquila centro, Villa Sant’Angelo, è stata amplificata.
    FALSO. La magnitudo non si amplifica, è l’accelerazione al suolo (concetto molto più complesso della magnitudo) che si amplifica.
  2. Le normative antisismiche in vigore sono vecchie e inadeguate, addirittura risalenti all’ottocento.
    FALSO. Le normative in vigore sono senz’altro da aggiornare, ma sono tutt’altro che inefficaci. Nella maggior parte dei casi, le case, pur lesionandosi, hanno salvato la vita.
  3. E’ strano che, in molti edifici, i piani bassi sono disastrati e quelli alti siano intatti.
    FALSO. I piani bassi sono i più sollecitati perché sostengono anche quelli superiori, è quindi normalissimo che si danneggino per primi.
  4. Gli edifici bassi sono sismicamente più sicuri di quelli alti.
    FALSO. La sicurezza di una costruzione nei confronti del sisma non si ottiene rinunciando ad edifici multipiano o bassi in altezza. Può sembrare un paradosso ma la vulnerabilità sismica non è affatto proporzionale all'altezza di una struttura. Per la scienza delle costruzioni infatti, in determinate circostanze, più una costruzione è alta, meno risente dello stress indotto da un terremoto. Per sola curiosità: non è certo il sisma la sollecitazione che limiterebbe l'altezza di un grattacielo o le dimensioni del ponte di Messina.
  5. E’ normale che, in edifici in cemento armato, durante un terremoto si danneggino gravemente tramezzi e tamponature.
    FALSO. Se tramezzi e tamponature si danneggiano in modo grave vuol dire che anche la struttura di cemento armato è stata sollecitata in modo consistente. Ho già vinto qualche scommessa: edifici con forti danni a tramezzi e tamponature, riveleranno, con indagini accurate, anche la struttura portante danneggiata.
  6. Un edificio costruito sulla roccia è più sicuro di uno costruito su un terreno soffice.
    FALSO. Per due motivi. In primis, la conoscenza dello strato superficiale non è affatto sufficiente a caratterizzare un terreno. In secundis, dipende dal tipo di edificio: edifici molto flessibili sono particolarmente vulnerabili ai terremoti se fondati su terreni soffici; al contrario, edifici molto rigidi (o bassi) sono più facilmente vulnerabili se fondati su terreni più duri.
  7. Gli edifici classificati dalle perizie della protezione civile come E, ma che presentano danni solo ai tramezzi, possono essere immediatamente ripristinabili.
    FALSO. Come detto prima, se i tramezzi sono fortemente compromessi, vuol dire che la struttura portante è stata fortemente sollecitata e quindi va effettuata una seria analisi strutturale. Dai risultati di quest'ultima si potrà dire se bastano riparazioni semplici o bisogna intervenire consolidando anche la struttura portante.
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